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[Ogni fine è sempre un inizio?]

E’ possibile riprendere in mano la propria vita dopo una perdita (reale o simbolica) in campo affettivo, lavorativo o personale, senza rimpianti e/o rimorsi ?

Quando ci capita di soffrire per qualcosa o qualcuno di importante per noi, per esempio affrontare un periodo di forte crisi all’interno di una relazione, la perdita di qualcuno d’importante per noi o avere delle difficoltà sul lavoro, la sofferenza che proviamo può essere molto forte e creare emozioni negative come dispiacere, rabbia, tristezza, sensi di colpa.

Queste emozioni per quanto dolorose hanno una loro funzione importante.

La tristezza, ad esempio, ci porta a stare più su noi stessi, sul nostro Io e ci aiuta a disinvestire da quello che non fa più parte della nostra vita.

La rabbia, invece, ci aiuta a proteggerci da quello che non è buono per noi, da ciò che non vogliamo più nella nostra vita.

Mediamente occorre un tempo fisiologico per superare la sofferenza legata a una perdita che va dai 6 ai 24 mesi ma non tutti vivono questo tempo senza avere ripercussioni importanti su diversi ambiti della loro vita: sociale, lavorativa, personale.

Questo dipende non solo da alcune caratteristiche di personalità (ad esempio: la capacità di reagire positivamente a situazioni di stress negativo) di ciascuno di noi ma anche dalla presenza o meno di alcuni aspetti legati alle nostre esperienze di vita che possono agevolarci se presenti o ostacolarci se assenti (per esempio: la possibilità di ricevere sostegno o ascolto quando ne abbiamo bisogno).

Ci sono tendenzialmente 2 errori che ciascuno di noi fa o ha fatto quando si trova in una situazione di sofferenza legata ad una perdita che sono da evitare perché non solo non risolvono il problema ma a lungo termine ne creano ulteriori.
Vediamo quali sono:

1) Chiudersi in se stessi.

Se in un primo momento, isolarci dagli altri, ci protegge dalla paura di soffrire ancora e ci permette di affrontare nell’immediato emozioni molto difficili da vivere, a lungo termine, chiuderci, non ci permette di superare emotivamente la perdita perché la sofferenza rimane ingabbiata dentro di noi.

I più fortunati possono trovare nel supporto amicale o familiare un sostegno ma in molti casi questo può rivelarsi inefficace per tanti motivi:

Uno fra tutti perché quando c’è un legame affettivo, il nostro interlocutore non è obiettivo perché proprio in virtù del rapporto è poco lucido e rischia di farsi coinvolgere con le sue opinioni o emozioni riguardo al nostro problema quando in realtà, chi ha un problema, ha bisogno prevalentemente di essere ascoltato e guidato in un processo di scelta senza interferenze e questo non può farlo un amico o un parente perché, anche se armati di buona volontà, non hanno le competenze per farlo.

Molte volte dai parenti o dagli amici riceviamo un ascolto che è parziale e consigli di cui potremmo anche fare a meno perché non risolvono il nostro problema. Anzi, molte volte peggiorano la situazione perché superficiali.

Ecco perché è necessario rivolgersi ad un esperto in materia, perché l’esperto ci ascolta in modo professionale senza giudicarci o dare consigli, aiutandoci a scegliere secondo i nostri bisogni più profondi e a rimuovere eventuali ostacoli o blocchi che ci allontanano dalle nostre decisioni e obiettivi.

Nei casi più sfortunati, inoltre, dove manca il supporto amicale o parentale, a maggior ragione, è fondamentale rivolgersi ad un esperto se la sofferenza che proviamo legata ad una perdita diventa intollerabile per noi o va comunque ad interferire con il nostro vivere quotidiano creando un malessere.

Prima si interviene e meglio è.

Perché quando viviamo una situazione di malessere, se si protrae per lungo tempo, siamo più a rischio di sviluppare disturbi perché quando non abbiamo tutte le nostre energie psicofisiche a posto e subentrano situazioni di vita stressanti, quell’equilibrio fittizio che c’è, crolla e genera crisi che possono portare poi, alla comparsa di psicopatologie.

2) Reagire con rabbia.

L’altro errore che si compie è quello di reagire con rabbia. Provare rabbia per qualcosa o qualcuno da cui ci siamo sentiti feriti è umano ma è importante riuscire ad esprimerla in modo adeguato soprattutto nelle relazioni.

Questo avviene raramente perché di solito attribuiamo alla rabbia un significato negativo e la tratteniamo.

La rabbia repressa è molto negativa. Ricerche in ambito psicosomatico rilevano come alcune persone con specifici tratti di personalità (personalità di tipo C) hanno una grandissima difficoltà ad esprimere alcune emozioni specifiche, come la rabbia e la tristezza.

Questo comporterebbe un’attivazione del sistema neurovegetativo che porterebbe ad un indebolimento del sistema immunitario e alla comparsa di disturbi psicosomatici oltre che di patologie tumorali.

Inoltre, trattenere la rabbia per lungo tempo è impossibile perché non possiamo controllare i nostri veri sentimenti e diventa anche pericoloso perché può diventare distruttiva per noi e per gli altri perché diventa ingestibile e arrivare poi a compromettere in modo definitivo una relazione portando alla rottura.

La studiosa, Elisabeth Kubler Ross, descrive quelle che sono le fasi che si attraversano quando si affronta il dolore legato a una perdita (il lutto appunto).

Questo schema che descrive i vissuti e gli atteggiamenti esperiti durante il lutto, può essere esteso anche alle perdite cosiddette simboliche come ad esempio, la fine di una relazione importante per noi o la perdita di un progetto di vita significativo.

Vediamo quali sono:

1) Fase di negazione o del rifiuto in cui la persona vive una negazione psicotica dell’esame di realtà (perché non sembra vero ciò che è accaduto e si rifiuta di accettare la nuova condizione).

2) Fase della rabbia in cui si sente il bisogno di ritirarsi in se stessi, si prova un vissuto di solitudine e si dirige la rabbia o verso l’esterno o verso se stessi.

3) Fase della contrattazione; si rivalutano le proprie risorse e c’è una ripresa dell’esame di realtà.

4) Fase della depressione: costituita dalla consapevolezza che non si è gli unici ad avere quel dolore e che la morte o la fine di qualcosa d’importante per noi, è inevitabile.

5) Fase dell’accettazione costituita dalla totale elaborazione del lutto e dal’accettazione della differente condizione di vita.

Accettare non significa rassegnarsi o subire passivamente ma aprirsi a tutto quello che viene momento per momento, disagio compreso, smettendo di giudicare ciò che proviamo (pensieri, emozioni) e accogliendo invece gli stati d’animo dando loro importanza e ascoltando cosa vogliono comunicarci.

Significa anche guardare con occhi nuovi quello abbiamo vissuto, cercando anche di trarne un senso utile per la nostra vita senza farci più condizionare dalla sofferenza.

L’accettazione è la fase finale di elaborazione di un lutto.

Quella a cui tutti noi dovremmo arrivare se ci troviamo a vivere una perdita reale o simbolica e vogliamo tornare a vivere una vita libera dal dolore ma, come abbiamo visto, il processo di superamento del lutto può essere ostacolato da diversi aspetti e assumere anche contorni patologici limitando la nostra vita. Per questo è fondamentale chiedere un aiuto esperto.

Se vuoi scoprire come dare senso e significato alla sofferenza della tua perdita e anche ai modi per affrontarla e superarla prenota una consulenza telefonica con me.

L’appuntamento è gratuito ma a numero chiuso dunque se vuoi avere questa possibilità di valore puoi prenotarla inviando la tua richiesta con un messaggio Whatsapp al 339/5893158

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Psicoterapia e Integrazione; l’approccio pluralistico integrato dell’A.S.P.I.C.

a cura di Lucia Scafidi, Psicologa e Psicoterapeuta.

Le definizioni della “Psicoterapia” sono moltissime, tante quante sono le diverse forme di psicoterapie esistenti.

  1. Karasu (1986), a metà degli anni ottanta individuava più di quattrocentosessanta tipi differenti di psicoterapie.

I più illustri psicoterapeuti del passato e dei giorni nostri hanno fornito e forniscono definizioni della psicoterapia a seconda di quelli che sono gli assunti teorici su cui i diversi tipi di psicoterapia si basano. Ogni forma di psicoterapia, inoltre, si basa sull’uso di specifiche metodologie che s’ispirano ai differenti modelli teorici che le caratterizzano.

  1. Lazarus (1982), uno dei maggiori esponenti della psicoterapia cognitivo – comportamentale, considera la psicoterapia come l’applicazione di tecniche e principi che derivano dalla psicologia cognitiva, sociale e sperimentale che uniti alla saggezza del terapeuta permettono di alleviare la sofferenza e di migliorare l’adattamento del paziente.
  2. Watzlawich (1980), famosissimo psicologo ed esimio esponente della Scuola di Palo Alto, affermava che la psicoterapia si basa sulla comunicazione interpersonale e serve a cambiare le convinzioni delle persone sulla natura della realtà (Giusti, Montanari, Montanarella, 1995).

In generale, si può affermare che la psicoterapia è un sistema di cura della sofferenza psichica che si fonda su una relazione interpersonale tra due o più persone di tipo professionale e che si sviluppa tramite l’impiego di strumenti psicologici e una teoria che guida gli interventi.

All’interno della relazione psicoterapeutica, una persona (il paziente) chiede aiuto e/o desidera un cambiamento per la sua vita e l’altra (lo psicoterapeuta), cui sono riconosciute conoscenze teoriche, competenze e qualità personali, agevola il cambiamento desiderato.

Ogni scuola di psicoterapia attribuisce alla relazione tra il paziente e lo psicoterapeuta, ai principi teorici che la ispirano e alla loro interazione un differente significato. E’importante evidenziare che non si può parlare di psicoterapia senza uno scambio interpersonale caratterizzato da un progetto terapeutico di cambiamento.

Mentre negli anni passati si è assistito al proliferare di differenti teorie e modelli in ambito psicoterapeutico che hanno determinato un inasprimento delle posizioni delle varie scuole di psicoterapia non favorendo un dialogo che potesse basarsi sul rispetto delle differenze e sulla valorizzazione dei punti di vista comuni, nell’ultimo decennio, il divario ideologico si è ridimensionato e ciò ha portato molti psicoterapeuti ad andare alla ricerca di tutti quegli elementi presenti in altri approcci psicoterapeutici che possono essere utili per il trattamento di pazienti e difficoltà differenti.

Molte ricerche in campo clinico hanno dimostrato, infatti, che nessun approccio psicoterapeutico può considerarsi il più adeguato per trattare qualsiasi tipo di difficoltà e pazienti. Di fronte a questa realtà, alcuni tra i principali sistemi di psicoterapia hanno iniziato un esame critico delle loro teorie.

Oggi, inoltre, viviamo una realtà in costante mutamento. E una singola teoria non è sufficiente a spiegare la complessità di questa realtà. Ciò lascia immaginare quanto in ambito clinico sia indispensabile avere un approccio alle difficoltà della persona secondo una visione integrata.

I risultati delle ricerche, inoltre, hanno aperto la strada al cosiddetto “movimento per l’integrazione delle psicoterapie”; questo movimento è nato proprio dall’insoddisfazione degli psicoterapeuti per i singoli approcci e dal desiderio di superarne i limiti e ha anche permesso di sviluppare una visione integrata della psicoterapia.

Oggi col termine “Integrazione” in psicoterapia s’intende la combinazione della molteplicità delle teorie in un numero più semplice di fattori operativi comuni e in un vocabolario di termini che abbiano un significato condiviso (Maher, 1989).

L’Integrazione è diventato l’approccio psicoterapeutico più diffuso tra gli psicoterapeuti americani e britannici. La mia formazione personale, in qualità di psicoterapeuta, fa riferimento all’A.S.P.I.C. di Roma, Scuola di formazione quadriennale in psicologia clinica e di comunità e psicoterapia umanistica integrata.

L’A.S.P.I.C., nel 2004, ha ricevuto una citazione all’interno del più importante testo mondiale sulle metanalisi delle ricerche in psicoterapia, “Bergin and Garfield’s Handbook of Psychotherapy and Behavior Change” in cui si legge che uno dei centri per l’integrazione più grandi e di maggior successo è a Roma, in Italia, sotto la direzione di Edoardo Giusti.

Qui di seguito alcune parole di presentazione dell’A.S.P.I.C. da parte di Edoardo Giusti, fondatore della Scuola e mio grande Maestro:

“La Scuola di specializzazione pluralistica integrata dell’A.S.P.I.C. è nata nel 1994, ed è la prima Scuola che ha effettuato un programma di formazione per gli allievi d’integrazione di un modello umanistico insieme alla psicologia di comunità. Si dice spesso una scuola eclettica, in realtà è una scuola pluralista che si occupa della salutogenesi, quindi della prevenzione dei disturbi, del benessere dell’individuo e anche della qualità della vita. Inoltre, si occupa anche della patologia, della diagnosi e dei trattamenti clinici”.

Uno psicoterapeuta formato all’approccio pluralistico integrato dell’A.S.P.I.C. ha diverse competenze:

  • E’ un professionista ricercatore clinico con una forte tensione etica;
  • E’ in grado di comprendere in modo empatico il cliente e di offrire feedback adeguati al modo in cui il cliente desidera sentirsi compreso;
  • E’ in grado di fornire al cliente alcune indicazioni trasformative utili;
  • Utilizza alcune ipotesi diagnostiche che non stigmatizzano la persona per attuare piani di trattamento che possono essere a breve, medio e lungo termine;
  • Monitora l’efficacia del processo terapeutico e l’efficienza dei risultati attraverso i follow-up (incontri concordati con il cliente dopo la fine del trattamento).

Riferimenti bibliografici:

Giusti E., Montanari C., Montanarella G., Manuale di Psicoterapia Integrata, Verso un eclettismo metodologico, Franco Angeli Ed., 1995, Milano

L’Ansia: “Un’anticipazione dolorosa ed estremamente allarmante di un futuro dolore”.

A cura della Dott.ssa Lucia Scafidi

Psicologa e Psicoterapeuta.

L’ansia è un’emozione a carattere spiacevole che determina effetti differenti sulla persona.

I sintomi di uno stato ansioso possono essere diversi tra loro: tremori, tachicardia, tensione muscolare, irrequietezza, fame d’aria, vertigini, irritabilità, nausea, brividi, vampate di calore, sensazione di gambe molli, idee catastrofiche, difficoltà di concentrazione o ad addormentarsi, ecc.

Anche se non esiste una definizione universalmente riconosciuta dell’ansia, si possono evidenziare degli elementi comuni tra le varie definizioni proposte dai diversi orientamenti psicologici; la maggior parte degli studiosi, infatti, è concorde nel ritenere l’ansia come “un’anticipazione dolorosa ed estremamente allarmante di un futuro dolore”.

Charles Darwin, nella sua prima pubblicazione scientifica mai pubblicata sull’ansia, affermava che “se ci aspettiamo di soffrire diventiamo ansiosi”.

E’ opportuno evidenziare la differenza che esiste tra “l’ansia di stato” e “l’ansia di tratto”.

L’ansia di stato riflette uno stato temporaneo di tensione, preoccupazione, nervosismo associato all’attivazione del sistema nervoso autonomo. L’ansia di stato può essere lieve, media o alta. Quando è medio-alta, è disturbante per la persona.

L’ansia di tratto, invece, è una caratteristica tendenzialmente stabile della personalità; le persone che hanno elevata ansia di tratto tendono a rispondere con una significativa reattività agli stimoli ansiogeni e presentano maggiori probabilità di avere ansia di stato di fronte a stimoli a basso potenziale ansiogeno.

L’ansia non è sempre negativa. E’ stato dimostrato da alcune ricerche, ad esempio, che gli studenti che devono affrontare un esame importante e hanno un livello d’ansia, moderato hanno un rendimento migliore di quelli che hanno livelli d’ansia più bassi. L’ansia può diventare un problema e comportare conseguenze spiacevoli o determinare veri e propri disturbi psicologici quando è eccessiva e interferisce negativamente sui diversi contesti di vita della persona (sociale, lavorativo, relazionale) e le modalità di fronteggiamento dei fattori interni o esterni della persona non sono più funzionali.

I Disturbi d’Ansia sono di vario tipo: Disturbo d’Attacco di Panico con o senza Agorafobia, Fobie, Disturbo d’Ansia Generalizzata, Disturbo Ossessivo Compulsivo.

Quando l’ansia diventa una difficoltà è opportuno rivolgersi allo psicoterapeuta e intraprendere un percorso appropriato di gestione dell’ansia e di risoluzione di tutte le strategie disfunzionali che la persona ha adottato nel tempo.

Quando è necessario intraprendere un percorso di psicoterapia?

A cura di Lucia Scafidi, Psicologa e Psicoterapeuta.

Il trattamento psicoterapeutico è indispensabile quando si sperimenta un vissuto di frequente malessere che può essere determinato da fattori interni alla persona o da fattori esterni e che altera in maniera significativa lo sviluppo armonico delle dimensioni di cui ciascuno di noi è fatto:

  • Sul piano cognitivo, ad esempio, ci può essere la presenza di pensieri e/o convinzioni negative che interferiscono sensibilmente sugli stati d’animo della persona e sul senso di autostima personale (che è il valore che ciascuno di noi attribuisce a se stesso) e bloccano il processo di decisione indispensabile per raggiungere obiettivi desiderati;
  • Sul piano emotivo, ci può essere la presenza di emozioni spiacevoli, quali ad esempio, tristezza, rabbia, ansia che se si protraggono per lungo tempo e non sono superate e/o gestite in modo adeguato possono rendere il quotidiano molto faticoso e generare stati eccessivi di stress e rappresentare l’anticamera per veri e propri disturbi psicologici e/o malattie;
  • Sul piano del comportamento la persona può assumere, ad esempio, atteggiamenti d’isolamento come difesa da situazioni dolorose o disturbanti o di evitamento di situazioni fonte di ansia come spesso accade nei disturbi legati all’ansia (Disturbo d’Attacco di Panico, Fobie, ecc.). Se in un primo momento questi atteggiamenti servono alla persona per cercare di gestire il peso emotivo di ciò che le succede o che vive, a lungo andare la portano inevitabilmente a restringere la sfera vitale e il suo campo d’azione. A furia di isolarsi o di evitare si andrà incontro anche alla perdita di opportunità importanti. Sul piano del comportamento, inoltre, ci possono essere anche atteggiamenti di vera e propria dipendenza psicologica (da sostanze stupefacenti, dal gioco, dalle relazioni affettive, dal cibo, ecc.).

In tutte queste situazioni sopradescritte è indispensabile chiedere aiuto rivolgendosi allo specialista: lo psicoterapeuta.

Lo psicoterapeuta è uno psicologo o un medico specializzato in psicoterapia.

La psicoterapia è una specializzazione conseguita dopo la laurea tramite un percorso di formazione quadriennale riconosciuto dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica).

Esistono numerose forme di psicoterapia e non esiste un modo univoco per definirla.

In generale, si può affermare che la psicoterapia è un sistema di cura della sofferenza psichica che si fonda su una relazione interpersonale tra due o più persone di tipo professionale e che si sviluppa tramite l’impiego di strumenti psicologici (il colloquio, l’uso eventuale di test psicologici, specifiche tecniche psicologiche) e una teoria che guida gli interventi.

All’interno della relazione psicoterapeutica, una persona (il paziente) chiede aiuto e/o desidera un cambiamento per la sua vita e l’altra (lo psicoterapeuta), cui sono riconosciute conoscenze teoriche, competenze e qualità personali, agevola il cambiamento desiderato. E’importante evidenziare che non si può parlare di psicoterapia senza uno scambio interpersonale caratterizzato da un progetto terapeutico di cambiamento.

La psicoterapia si rivolge alla complessità della sfera psichica di un individuo intervenendo sugli aspetti di disturbo psicologico apportando dei cambiamenti sui comportamenti disfunzionali e operando una ristrutturazione profonda sugli aspetti emotivi e i processi di pensiero.

Ci si può rivolgere allo psicoterapeuta anche quando si attraversano momenti di cambiamento esistenziale (ad esempio un passaggio di stato da figlio a marito o da figlio a genitore) che possono mettere in crisi l’equilibrio psicofisico della persona o quando si vivono eventi di vita particolarmente critici (la perdita di una persona cara, un incidente, uno stato di malattia, ecc.). In questi casi lo psicoterapeuta lavorerà per agevolare la persona ad ampliare il suo stato di consapevolezza e il suo potenziale umano, sviluppare strategie di gestione della crisi, promuovere e/o potenziare le sue risorse interiori.